Con la denominazione di via del sale
si è soliti riferirsi agli antichi percorsi di commercio che mettevano
in comunicazione la pianura Padana con il mar Ligure: il sale infatti,
utilizzato per la conservazione dei cibi, era la più preziosa delle
merci trasportate dai muli o dai carri, insieme all'olio ligure, a lana,
pelli, cuoio, lino e canapa provenienti da oltremare, in cambio del
vino e di altri prodotti dei versanti padani.
Esistono in realtà moltissime vie del sale: l'espressione è usata
almeno dalla Toscana fino all'estremo Ponente ligure. Alle vie del sale
di quest'ultima zona Nico Orengo ha dedicato un libro intitolato "Il
salto dell'acciuga"; le acciughe erano infatti un'altra delle merci che
transitavano dal mare verso la pianura, il che spiega perché una
specialità gastronomica piemontese, la bagna cauda, sia a base di
acciughe. Giustamente quindi è intitolato "Le vie del sale", al plurale,
un altro libro di Fabrizio Capecchi, che illustra nove itinerari fra
pianura e mare, che varcano l'Appennino ligure in altrettanti passi.
Dove passava la via del sale nella fascia di
territorio delle Quattro Province? Un riferimento ovvio per l'enorme
volume delle merci che vi transitavano, in arrivo o in partenza con le
navi, era il porto di Genova. La direttrice sud-nord corrispondente a
Genova passa per la valle del Polcévera o per quella del Bisagno, e di
lì sul versante padano viene a trovarsi proprio nei nostri bacini dello
Scrivia, del Curone e del Trebbia. Il percorso effettivo dipendeva però
dallo stato delle strade, dalla natura delle merci e dei mezzi di
trasporto, e dalla maggiore o minore convenienza dei dazi doganali fra i
diversi stati in cui era suddiviso il territorio: nei secoli
i loro confini sono variati, dai Feudi imperiali all'epoca ottocentesca
del Regno di Sardegna (che si spingeva ad est fino a Bobbio) e del
Ducato di Parma e Piacenza.
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giovedì 5 settembre 2013
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Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne.
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