Per le 15 strutture il presidente Minotti chiede progetti di rilancio. Immediata la polemica. La scrittrice Tenderini denuncia: «Li vogliono trasformare in alberghi»
L’immagine «romantica» del rifugio di montagna, spartano e senza confort, contro un’idea più «imprenditoriale» che vorrebbe, anche tra i sentieri in quota, una cucina stellata e progetti pensati per attrarre i turisti. Il Cai — lo storico Club Alpino Italiano — si divide sulle regole di gestione dei rifugi della Lombardia, un patrimonio di oltre 150 strutture disseminate sull’intero territorio sul quale è scoppiata una guerra tutta interna al mondo degli amanti delle vette.
La scintilla è stata la decisione del nuovo presidente del Cai Milano Massimo Minotti di revocare i contratti
con i gestori dei quindici rifugi di proprietà della sezione meneghina e
di chiedere nuovi progetti per ciascuna delle strutture. Immediata la
reazione polemica, soprattutto di alcuni tra i rifugisti storici. Un
esempio su tutti, quello del «Rosalba», nel Lecchese, da oltre due decenni affidato a Mauro Cariboni.
La decisione del Cai milanese ha addirittura portato
la scrittrice Mirella Tenderini ad aprire su facebook la pagina
«Salviamo i rifugi», che conta già oltre 300 iscritti e propone una
raccolta di documenti per chiedere l’intervento della direzione
nazionale del Club Alpino. «C’è la tendenza a vendere o trasformare i
rifugi in alberghi-ristoranti a scopo puramente venale, con conseguenze
gravi per i gestori che si trovano buttati fuori o messi comunque in
difficoltà — denuncia la scrittrice —. Le conseguenze sono gravissime
anche per i soci e non soci del Cai che quando vanno in un rifugio si
aspettano un rifugio e non un banale anonimo hotel».
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