È quasi terminata l’estate e ancora una
volta ci troviamo a fare i conti con l’imprudenza in montagna. Un
fenomeno che non sembra fermarsi, anzi. Incoscienza che spesso porta a
situazioni fatali, nel peggiore dei casi. Lo
abbiamo scritto già prima di Ferragosto: il punto non è l’elitismo, è
la pura consapevolezza che – andando in montagna – si è esposti a rischi
oggettivi che possiamo solo mitigare. Eppure, ancora troppe persone
prive di senno si espongono, ed espongono gli altri, a questi rischi.
Forse, sebbene la montagna stia tornando di moda, è bene che si usino i
mesi più freddi per ragionare su come evitare quello che state per
leggere.
In una assolata, ma fresca, mattinata di Washington, un articolo colpisce il mio interesse. Su
l’Alto Adige c’è lo sfogo degli Accademici del Cai, dell’Aiut Alpin
Dolomites e del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (Cnsas).
Sono «esasperati», si legge nell’articolo, dalle troppe chiamate senza
motivo. E, di conseguenza, dei troppi interventi non necessari che
devono compiere, mettendo a repentaglio la loro stessa vita, per salvare
gli imprudenti. E fanno poi anche un calcolo dei costi operativi delle
uscite con l’elicottero, i cui prezzi sono ben noti a chi frequenta
regolarmente la montagna. Dai due a tremila euro per intervento, spesso
eseguito da volontari. Se si tratta di aiutare persone in pericolo però,
la macchina dei soccorsi diviene quanto mai preziosa. Capita però anche
il contrario. In diversi casi, chi chiama i soccorsi non è a conoscenza
dell’enorme costo di quella chiamata, sia in termini di risorse umane
sia in termini di risorse finanziarie. Citiamo testualmente alcuni
esempi pubblicati ieri da l’Alto Adige: “Una famiglia dal bosco chiama
il 118: «Piove, non è che l’elicottero potrebbe portarci degli
ombrelli?». Turista in cima al Seceda in tacchi a spillo: «Mi venite a
prendere, con l’elicottero? Non riesco più a scendere…». Rifugio
Locatelli, Tre Cime: «Stamattina faceva caldo, ora è tanto freddo, non è
che ci portate da vestire?»”.
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