mercoledì 28 gennaio 2009

L'Associazione "La Pietra Verde"

Immaginate un oceano. Un giorno qualunque di un’epoca assai remota. Una monotona sequenza di onde increspa quella sconfinata distesa; il cielo non è popolato da uccelli, ma un etereo deserto in cui si muovono rapide nubi, frenetiche concubine di un sole incredibilmente caldo.

La calma che regna in superficie non fa in alcun modo presagire ciò che accade sotto quell’immensa massa d’acqua, nelle profondità oceaniche. Serpeggiando sui fondali, lunghissime spaccature percorrono distanze incalcolabili, sezionando la superficie dell’intero globo terrestre in diverse placche. Da alcune fenditure fuoriesce nuovo materiale incandescente, proveniente dalle profondità della terra: le placche si muovono, si spingono, si sovrappongono. In corrispondenza di zone ben precise hanno origine movimenti verticali che sollevano i fondali marini finché, ora con estrema lentezza, ora con furia incalcolabile, questi affiorano in superficie. Compare un’isola, poi due, un intero arcipelago, destinato a diventare parte della catena montuosa di chissà quale terra.

In termini di esperienza umana, le forze che caratterizzano tali avvenimenti rimangono assai distanti da ogni capacità di comprensione. Eppure tutto questo è accaduto davvero, ma in tempo così lontano da essere invisibile anche agli occhi dell’immaginazione. Ora i resti di quell’antico fondale affiorano qua e là sulle alture, fra i potenti strati di sedimenti che li ricoprono. Sono rocce molto dure, di colore variabile dal verde al nerastro. Ofioliti, da Ofios, serpente, proprio per il colore che le contraddistingue. Pietre verdi; così vengono dette.

L’acqua di un torrente scava il fianco di una montagna, portando alla luce la successione di strati da cui ha avuto origine: una sorta di calendario geologico. Un uomo percorre il greto di quel torrente con lo sguardo fisso al suolo, assorto nella ricerca. Mani tozze e rugose raccolgono alcuni sassi, deponendoli poi in un rozzo contenitore di pelle animale. Sono pietre verdi o noduli di selce.

L’uomo è soddisfatto e torna al villaggio, sulla sommità di un’altura. Mani non certo aggraziate, eppure così abili nel lavorare quelle pietre per farne utensili adatti alle necessità di una dura e ormai misteriosa vita quotidiana. Si fa sera. Prima di scendere alla capanna, dall’alto della rupe l’uomo scruta ancora una volta il paesaggio: a sud le alte montagne da cui lo sguardo giunge fino al mar; tutto intorno un susseguirsi di valli e colline, punteggiate da languidi bagliori dei fuochi di altri accampamenti. A nord la grande pianura con le sue foreste e le infide paludi ed il grande fiume che la percorre per intero. Un giorno saranno strade e città e campi coltivati.

Ma come le onde dell’oceano, come l’acqua nel torrente, il tempo scorre fluido e non vi è mano tanto abile da riuscire a trattenerlo. Oggi nessuno raccoglie più quelle pietre verdi; esse giacciono qua e là sul greto dei torrenti che solcano queste valli o affiorano sporadiche dai fianchi delle montagne. Piccoli ciottoli e grandi massi. Sculture del tempo, memorie del mondo.

Ora è lecito per il lettore domandarsi il perché si narra tutto questo; come mai si fa menzione di avvenimenti di grande portata. Queste righe non vogliono certo soddisfare l’assurda pretesa di narrare con poche parole una storia lunga miliardi di anni. Tra queste affermazioni vi sono però alcuni dei principali componenti di una qualsiasi delle attività promosse ed organizzate dalla Pietra Verde.

No, non stiamo più parlando di rocce, fondali e uomini della preistoria, ma di un’Associazione Naturalistica Culturale costituita per volontà di un gruppo di escursionisti e che fa derivare il suo nome proprio da quelle pietre. Forse per doveroso rispetto alla notevole parte da esse sostenuta sul grande palcoscenico dell’evoluzione. Forse per rendere omaggio agli atavici abitanti della rupe del Guardamonte e di altri insediamenti scoperti nelle valli contigue.

Uno staff di appassionati che, con impegno ed iniziativa, vuole sperimentare un modo diverso di vivere il territorio, percorrendolo con spirito di osservazione e di riflessione. Che considerano l’escursionismo non un semplice camminare, lasciandosi alle spalle un itinerario più o meno articolato, ma una presa di coscienza delle molteplici prospettive in cui l’ambiente si concede; e cosi lo propongono al turista, all’escursionista o al semplice curioso, in ciascuna delle attività caratterizzate da un preciso filo conduttore. Comminare si, ma assaporando il gusto di ogni piccola scoperta. Ne consegue una sorta di viaggio multidimensionale dove il paesaggio intorno ma noi, mostrandosi al presente, ci racconta molti dei suoi trascorsi; dove ogni semplice elemento dell’ambiente viene elevato al ruolo di protagonista. Raccoglier un sasso che mostra il calco di una conchiglia: esso ha molto da narrarci del mare in cui è nato, di spiagge, di un ambiente così diverso… Girare attorno ad un albero, scrutarne le forme, pensare ai fluidi che lo percorrono, sentirlo vivo. E poi tutto viene da se. Ogni luogo avrà una storia e qualcuno per raccontarla. Ogni strada ci farà incontrare nuove conoscenze e vecchi amici. Basta voler guardare. Ed ascoltare. Vale davvero la pena provarci. Auguriamoci allora che il gusto del nuovo e della scoperta riesca sempre ad alimentare in noi i lumi della curiosità, della riflessione, della consapevolezza.

Fonte

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Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne.

Immanuel Kant

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