lunedì 23 gennaio 2017

Vivere la montagna significa rispettarla

Rispettare la montagna è rispettare noi stessi. Vuol dire porci in salvo dai brontolii e dagli sbadigli che hanno la forza di spazzarci via. Se - come ho sentito dagli esperti - i terremoti sono imprevedibili, le valanghe te lo dicono dove scendono, in percorsi infilati da millenni. Ma quando imparerà l’uomo? L’errore che facciamo è credere che possiamo costruire perché lì da cento anni non viene giù niente. E ripetiamo all’infinito quell’errore, come costruire una casetta vicino a una riva d’un fiume o di un torrente perché lì è chissà da quando che non c’è un alluvione, un’esondazione.  

C’è una montagna ripida, una valle che convoglia la neve e allo sbocco tu vai a costruire sperando che non venga giù. Incauta ingenuità. E vale per i corsi d’acqua, per qualsiasi evento della natura. Bisogna rassegnarsi, andarsene, non abitare più in quei luoghi. La valanga non si dice che lì non può più scendere. Diceva il poeta Fernando Pessoa: «La natura non si ricorda, perciò è bella». E il vescovo Berkeley: «La mela da sola non si può gustare». E noi siamo il palato che gusta la montagna. Vive senza di noi. Quando vivere la montagna diventa sfruttamento, anche per lucro, l’uomo la intralcia e qualcosa succede. Non è questione di vendetta, la montagna non la conosce, ma di ostacolo dell’uomo. La natura si sbarazza degli ostacoli senza bisogno di coscienza, se gli togli qualcosa accade una reazione.

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Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne.

Immanuel Kant

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