mercoledì 25 novembre 2015

Questo matrimonio non s’ha da fare

(Il nuovo racconto della montagna)

Il numero di settembre 2015 di Montagne360 si apre con un editoriale di Luca Calzolari che non possiamo non leggere con molta attenzione.

Il titolo del pezzo è Un nuovo storytelling per la montagna? e qui lo riporto integralmente.

Comprendo e condivido la necessità, espressa dall’autore, di giungere a una nuova comunicazione della montagna, a un nuovo racconto di essa, che sappia superare l’attuale mania del no limits spettacolarizzato (che Calzolari definisce giustamente una proposta turistica di consumo spicciolo di emozioni altrui) conciliandosi con l’escursionismo consapevole e il viaggio d’emozione.

Condivido la necessità del cambio dell’attuale percezione: non condivido il “tipo di dimostrazione” che Calzolari ne tenta. Dico che, per giungere al sospirato QVD (quanto volevasi dimostrare), i procedimenti logici di Calzolari sono viziati da un consistente “peccato originale”.

 

Il nuovo racconto della montagna

Il numero di settembre 2015 di Montagne360 si apre con un editoriale di Luca Calzolari che non possiamo non leggere con molta attenzione.
Il titolo del pezzo è Un nuovo storytelling per la montagna? e qui lo riporto integralmente.
Comprendo e condivido la necessità, espressa dall’autore, di giungere a una nuova comunicazione della montagna, a un nuovo racconto di essa, che sappia superare l’attuale mania del no limits spettacolarizzato (che Calzolari definisce giustamente una proposta turistica di consumo spicciolo di emozioni altrui) conciliandosi con l’escursionismo consapevole e il viaggio d’emozione.
Condivido la necessità del cambio dell’attuale percezione: non condivido il “tipo di dimostrazione” che Calzolari ne tenta. Dico che, per giungere al sospirato QVD (quanto volevasi dimostrare), i procedimenti logici di Calzolari sono viziati da un consistente “peccato originale”.

NuovoRaccontoMontagna-ramsau_berggehen

Su questo blog insisto da tempo contro l’anglicismo in ogni settore. Ci sono pochi casi in cui i termini inglesi non sono superflui. Nella maggioranza dei casi sono fuori luogo, ma si sposano perfettamente con la colonizzazione (sottile ma comunque violenta) dell’uso del linguaggio aziendalistico (e simili). Adattarsi al linguaggio e alla pratica di quello che io ritengo un vero e proprio nemico della cultura libertaria dell’alpinismo, alla fine vuole dire restarne avviluppati, il primo passo per restarne anche fregati.

Perché la rete sentieristica in questo momento è definita valore teorico di sviluppo? E perché questo valore (teorico o no) deve diventare asset strategico? Perché teorico? Forse i sentieri non esistono? E per l’asset strategico: il CAI spinge a che la gente viva emozioni quiete ma profonde o piuttosto desidera essere proprietario di un bel catalogo di prodotti e colluso ingenuamente con operatori turistici che sono mossi dalle più evidenti motivazioni commerciali?

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Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne.

Immanuel Kant

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