Un giorno incredibile dalla partenza dalla base del K2 fino al
recupero della alpinista francese: una ascesa notturna a -40 gradi, su
una parete durissima e ghiacciata. L’ultimo saluto al polacco Mackiewicz
che resterà per sempre nella “sua” montagna
Sono sull’elicottero. Sono in
viaggio verso la salvezza. Verso un ospedale. La lunga odissea sta
volgendo al termine, dopo le 30 ore che hanno cambiato o riscritto la
storia dell’alpinismo mondiale. Ma la montagna, ancora una volta,
racconta la storia di uomini e di donne.
I 4 soccorritori polacchi: Sopra Urubko e Bielecki, sotto (da sx) Botor e Tomala |
Uomini —
La storia di persone vere. “E ugualmente voto dieci su dieci e con Lode
unica e perenne i Signori Denis Urubko, Adam Bielecki, Piotr Tomala e
Jaroslaw Botor, i quali non solo su un certo tipo di alpinismo sono il
meglio al mondo ma anche, con la loro decisione di offrirsi
volontariamente ad andare a soccorrere Tomek ed Elisabeth, hanno
mostrato quello che significa essere uomini veri e non, come disse il
grande Totò, semplici caporali, magari incensati dalla gente. Di loro
conosco solo Denis, uno che se lo metti a leggere il giornale su un
terrazzo d’inverno a Livigno non ti chiede neppure la frontale”, ha
scritto Fabio Palma il presidente dei Ragni di Lecco. Raccontando così
l’epopea di un’impresa eccezionale dal punto di vista alpinistico, ma
appunto anche umano.
K2 — Era appena ieri mattina quando la spedizione polacca lasciava il campo base del K2 per arrivare a quello del Diamir, sul fare della sera pakistana. Denis Urubko e Adam Bielecki e poi i loro compagni Piotr Tomala e Jaroslaw Botor, si sono lanciati ieri notte in una “corsa” in parete per raggiungere infine alle 2 la stremata francese, che ha cercato di scendere nel buio da campo 3 nonostante i gravi congelamenti e gli ultimi giorni e notti passati all’addiaccio a temperature a -40 e oltre. Un’impresa pazzesca perché compiuta di notte, in condizioni proibitive. Appena gli elicotteri si sono allontanati, mentre in alto la Revol consumava gli ultimi impulsi delle batterie per comunicare che, dopo tre giorni senza tregua nella zona della morte e all’addiaccio, stava ancora lottando nonostante la stanchezza, la fame, la sete e i severi congelamenti, Urubko e Bielecki, hanno subito iniziato il pazzesco sforzo sulla via Kinshofer, ripidissima e ghiacciata.
K2 — Era appena ieri mattina quando la spedizione polacca lasciava il campo base del K2 per arrivare a quello del Diamir, sul fare della sera pakistana. Denis Urubko e Adam Bielecki e poi i loro compagni Piotr Tomala e Jaroslaw Botor, si sono lanciati ieri notte in una “corsa” in parete per raggiungere infine alle 2 la stremata francese, che ha cercato di scendere nel buio da campo 3 nonostante i gravi congelamenti e gli ultimi giorni e notti passati all’addiaccio a temperature a -40 e oltre. Un’impresa pazzesca perché compiuta di notte, in condizioni proibitive. Appena gli elicotteri si sono allontanati, mentre in alto la Revol consumava gli ultimi impulsi delle batterie per comunicare che, dopo tre giorni senza tregua nella zona della morte e all’addiaccio, stava ancora lottando nonostante la stanchezza, la fame, la sete e i severi congelamenti, Urubko e Bielecki, hanno subito iniziato il pazzesco sforzo sulla via Kinshofer, ripidissima e ghiacciata.
Hanno superato anche il verticale risalto roccioso che è il punto chiave della “normale”: il Muro Kinshofer. Un passaggio che, non attrezzato, rende tutt’altro che normale questa via. Denis e Adam hanno dovuto piazzare da soli le corde fisse per salire, con l’ansia di fare presto per giungere in tempo da Elisabeth e per portarle i primi aiuti, in attesa delle cure del dottor Botor.
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