domenica 28 gennaio 2018

Le 30 ore che hanno cambiato l’alpinismo: i 4 eroi polacchi e Tomek nel “suo” Nanga

Un giorno incredibile dalla partenza dalla base del K2 fino al recupero della alpinista francese: una ascesa notturna a -40 gradi, su una parete durissima e ghiacciata. L’ultimo saluto al polacco Mackiewicz che resterà per sempre nella “sua” montagna

Sono sull’elicottero. Sono in viaggio verso la salvezza. Verso un ospedale. La lunga odissea sta volgendo al termine, dopo le 30 ore che hanno cambiato o riscritto la storia dell’alpinismo mondiale. Ma la montagna, ancora una volta, racconta la storia di uomini e di donne.

I 4 soccorritori polacchi: Sopra Urubko e Bielecki, sotto (da sx) Botor e Tomala

Uomini — La storia di persone vere. “E ugualmente voto dieci su dieci e con Lode unica e perenne i Signori Denis Urubko, Adam Bielecki, Piotr Tomala e Jaroslaw Botor, i quali non solo su un certo tipo di alpinismo sono il meglio al mondo ma anche, con la loro decisione di offrirsi volontariamente ad andare a soccorrere Tomek ed Elisabeth, hanno mostrato quello che significa essere uomini veri e non, come disse il grande Totò, semplici caporali, magari incensati dalla gente. Di loro conosco solo Denis, uno che se lo metti a leggere il giornale su un terrazzo d’inverno a Livigno non ti chiede neppure la frontale”, ha scritto Fabio Palma il presidente dei Ragni di Lecco. Raccontando così l’epopea di un’impresa eccezionale dal punto di vista alpinistico, ma appunto anche umano.

K2 — Era appena ieri mattina quando la spedizione polacca lasciava il campo base del K2 per arrivare a quello del Diamir, sul fare della sera pakistana. Denis Urubko e Adam Bielecki e poi i loro compagni Piotr Tomala e Jaroslaw Botor, si sono lanciati ieri notte in una “corsa” in parete per raggiungere infine alle 2 la stremata francese, che ha cercato di scendere nel buio da campo 3 nonostante i gravi congelamenti e gli ultimi giorni e notti passati all’addiaccio a temperature a -40 e oltre. Un’impresa pazzesca perché compiuta di notte, in condizioni proibitive. Appena gli elicotteri si sono allontanati, mentre in alto la Revol consumava gli ultimi impulsi delle batterie per comunicare che, dopo tre giorni senza tregua nella zona della morte e all’addiaccio, stava ancora lottando nonostante la stanchezza, la fame, la sete e i severi congelamenti, Urubko e Bielecki, hanno subito iniziato il pazzesco sforzo sulla via Kinshofer, ripidissima e ghiacciata.


Hanno superato anche il verticale risalto roccioso che è il punto chiave della “normale”: il Muro Kinshofer. Un passaggio che, non attrezzato, rende tutt’altro che normale questa via. Denis e Adam hanno dovuto piazzare da soli le corde fisse per salire, con l’ansia di fare presto per giungere in tempo da Elisabeth e per portarle i primi aiuti, in attesa delle cure del dottor Botor.

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