Il Trident du Tacul |
Scarnificata. La storia dell’alpinismo è ferita da un crollo di centomila metri cubi: blocchi di granito che il tempo ha colorato di rosso e di giallo crollati sul ghiacciaio del ghiacciaio del Gigante. Siamo nel cuore del Monte Bianco, lato Sud, quello italiano, ma il confine lo muta in francese. «Che tristezza», dice la guida alpina Enrico Bonino che ha sentito la montagna gridare, un lamento cupo, una sorta «boato lontano, profondo, come fosse un’eco di qualcosa di tragico». Stava salendo sulla faccia Est del Trident du Tacul (3639 metri) con la sua compagna, la geologa Ilaria Sonatore. Dice Bonino: «Ci siamo detti, meglio scendere. Sassi venivano giù in mezzo alla parete, senza seguire i soliti canali. Inquietante».
Nella notte, o prima dell’alba, il crollo. Il Trident è uno dei «Satelliti» del Mont Blanc du Tacul. Luogo di grande fascino, come indica la toponomastica. Sorgono da un circo glaciale che si divide in Géant (Gigante) e Maudit (Maledetto). Fanno da piede semicircolare al Mont Blanc du Tacul che ha creste frastagliate, affilate, tormentate, come quella battezzata «du Diable». E i «Satelliti» si chiamano Roi du Siam, Grand e Petit Capucin, Clocher. La storia dell’alpinismo, fin dai primi anni del Novecento è passata di lì. E in quei mille metri cubi ridotti in pezzi c’erano passati personaggi come Walter Bonatti e Gabriele Boccalatte, o come Hervé Bouvard e Michel Piola.
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